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lunes, 22 de marzo de 2010

Pacifismo Relativo

Los pacifistas que son menos absolutos siguen otros códigos de conducta. Algunos objetan el uso de la fuerza y defienden la persuasión moral, pero fomentan también la resistencia pasiva para alcanzar sus objetivos. Dos ejemplos de este comportamiento son la resistencia contra el Gobierno británico en la India durante el siglo XX, y la desobediencia civil de los estadounidenses por los derechos civiles. Los críticos de esta visión argumentan que incluso que este tipo de resistencia pasiva provoca frustración, resentimiento y una mayor opresión por parte del agresor.

Muchos pacifistas especulan que sólo es viable mantener la paz mediante una disposición a usar la fuerza en algunas circunstancias normalmente caracterizadas como defensivas. Una de estas concepciones permite la defensa armada frente a un ataque, pero no ayudar a otros países que sean atacados. La teoría de la seguridad colectiva expone una alianza defensiva de naciones amantes de la paz frente a las que la rompan. Si se desea que esta opción no degenere en un mero sistema de alianzas rivales, debe establecerse alguna maquinaria internacional que sea capaz de arbitrar y de imponer sus decisiones. Por tanto, los partidarios de esta teoría han defendido todas las organizaciones internacionales, como el Tribunal permanente de arbitraje, la Sociedad de Naciones y la Organización de las Naciones Unidas.




ANALI CAZARES



Salvador. (2010) El Pacifismo. Recuperado el 20 de marzo de 2010. Disponible en: http://www.miportal.edu.sv/sitios/Kriscia_Yasmin/P%C3%A1ginas%20web/Pacifismo.html

1 comentario:

  1. LA GUERRA
    Quell’odio fratricida di Caino
    Pose la base per la guerra
    Trasformando l’uomo in assassino
    Mentre sparge sangue in terra

    Desideroso d’essere esaltato
    Non padroneggiò ira e gelosia
    Verso quel suo fratello odiato
    E si trasformò in venefica alchimia

    Le ideologie perverse e immonde
    Ramificate nel pensiero umano
    Come cancrena si diffonde
    Con l’omelia del Clero e del Sovrano

    Per la volontà di non voler amare
    E per l’ingorda avidità umana,
    In terra, in cielo e in mare,
    L’uomo, come una belva, sbrana.

    La Guerra è sempre ingiusta,
    Perché non vince chi ha ragione,
    Ma chi rende l’altrui vita angusta
    Con la forza e l’oppressione

    Seguendo la legge del più forte
    E calpestando principi universali
    Dispensa solo sofferenza e morte
    E non rende gli uomini uguali

    L’uomo, esaltando la ragion di stato,
    I miti della razza e pur l’economia,
    È disposto ad essere ammazzato
    In nome di una puerile ideologia

    Chiudono la bocca al Dialogo,
    Sordomuta resta la Diplomazia,
    Corrono a sostener la Guerra
    Lo stratega, la Scienza e la Tecnologia

    Per quella chiamata “Santa”, oppur “Civile”,
    Nonché “d’Indipendenza” o per la “Libertà”
    La Guerra è più sporca di un porcile
    Giustificata sempre da grandi falsità


    Dicendo che col sangue nemico lavano,
    Le Colpe, le Offese e il Disonore,
    Quegli occhi pieni d’odio non vedono
    Il sudiciume di tutto quell’ orrore

    Per acquietar coscienze il prete benedice,
    La Bomba e i Cannoni ed il Soldato,
    E sull’altro fronte un altro cappellano benedice
    I morti che la bomba benedetta a provocato

    I morti, per scrupolo morale e religioso,
    Con un eufemismo li chiamano: “Caduti”,
    Ma quei morti, per i capricci di un esoso,
    Furono prima ingannati e poi abbattuti

    A volte fan più senso i vivi, anziché i morti,
    Che vagano con gli occhi volti al vuoto
    Come corpi che dalle tombe son risorti
    Nella vana ricerca di un paradiso ignoto

    Fra il pianto della vedova e del bambino,
    Il milite cerca falsa gioia nel Bordello
    E la prostituta, in cambio del quattrino,
    Vende il suo corpo alla “Carne da macello”.

    Si diffondono mortali malattie veneree
    Disertato è il lavoro agreste o di laboratorio
    Il mondo si riempie di lacere miserie
    E si trasforma in un tragico mortorio

    Questo è il sacrificio offerto sull’altare,
    Di quell’Iddio che il mito chiamò: Marte
    Per non voler agire con amore,
    Genera distruzione, lacrime e Morte.

    A fine Guerra, chi vinse, i vinti e gli obiettori,
    Contano le vittime che vi han partecipato
    Si chiedono se, da tutti quegli orrori,
    Qualche lezione l’uomo abbia imparato

    Uccidere chi uccide, per dimostrare,
    Che uccidere qualcuno sia sbagliato,
    Rimane assai difficile da spiegare
    Ad un popolo che si stima emancipato

    Assieme ai traumi, rimangono feriti,
    Il fisico, la mente, e pure il cuore
    Col dubbio, che i morti non siano serviti
    A debellar la Guerra, il cui spirito non muore

    Anche se finisse la guerra col nemico,
    Continuerà quella contro se stesso
    Se l’uomo della Vita non è amico
    E non ama gli altri come se stesso

    Al sangue di Abele, che grida ancora,
    S’aggiunge quello con cui scritta fu la Storia
    Di una civiltà che la vita disonora
    Perché si crede superior con la sua Bòria

    L’unica pace che la Guerra abbia portato,
    Sia la guerra di un Regno o di un Impero,
    Oppure quella del Magnate o del Papato,
    È solo la Pace che regna al Cimitero.

    Vitaliano Vagnini - (Gaeta 1970-72)

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